Se il rock lo tagliassero a pezzetti - Recensione di MusicbOOm
Complessi e difficili come un esame di analisi, ci danno un aiuto etichettandosi da soli: Transgender, attraverso i generi. Non fosse che decidono d’esprimersi in un idioma oscuro che pare provenire in parte dallo spazio e in parte dalla Calmucchia, anche se loro sostengono - come Tolkien fece con gli Elfi - d’averla inventata. I paralleli? Troppi: dal prog di Canterbury al crossover compatto ma spigoloso d’inizio millennio di gruppi come i System Of A Down con i loro arabeschi nu metal al seguito, arzigogolii vocali degni d’un Mike Patton che si spengono in sofferti gargarismi islandesi, sketch semi-orchestrali troppo brevi per dare spazio a fughe visionarie, muri sonori che t’ingabbiano in uno scenario di modernità indecifrabile e tristemente felice dove riecheggiano le ossessioni industrial tedesche e l'epica folle di Robert Fripp.Una compattezza frastornante per intensità di stimoli e densità di suono (live - vi assicuro - sono grandiosi), un riassunto dell’epopea rock nei suoi aspetti più radicali, che però sono già tradizione. Mey Ark Vu è allora una sfida, non tanto nel suo volere valicare i generi, ma nel suo essere di non facile accesso: la sua composizione che procedendo per de-costruzione sfiora il virtuosismo compiaciuto, i cambi di ritmo e di genere che ne danno un’immagine schizofrenica, questa lingua inventata che ne fa un concept che lo sia o meno. Una copertina tra Bauhaus e Suprematismo e un libretto che gioca con simboli d’ispirazione mistico-massonica-kosmica completano il quadro.
Mi rimangono un paio di certezze:
1) il disco pesa 150 grammi;
2) se il rock lo tagliassero a pezzetti, i Transgender li raccoglierebbero.
I Transgender sono un buco nero che risucchia tutto ciò che è heavy, una mistica senza visioni, un concetto che s’arrotola in un gomitolo troppo difficile da districare, un tappo messo a forza in una bottiglia aperta da tempo. A voi decidere se l’anima del rock è ancora dentro o era già scappata lasciando solo un’idea.
fonte: http://www.musicboom.it/mostra_recensioni.php?Unico=20061123030500
Mi rimangono un paio di certezze:
1) il disco pesa 150 grammi;
2) se il rock lo tagliassero a pezzetti, i Transgender li raccoglierebbero.
I Transgender sono un buco nero che risucchia tutto ciò che è heavy, una mistica senza visioni, un concetto che s’arrotola in un gomitolo troppo difficile da districare, un tappo messo a forza in una bottiglia aperta da tempo. A voi decidere se l’anima del rock è ancora dentro o era già scappata lasciando solo un’idea.
fonte: http://www.musicboom.it/mostra_recensioni.php?Unico=20061123030500
Etichette: musicboom, recensione
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