Mey Ark Vu Blog

Dopo 3 anni esce il nuovo album dei Transgender. Mey Ark Vu, ottobre 2006 Trovarobato.

1 - FRAY TJUS 6 - KjU
2 - SUNI 7 - BERLINA
3 - ACTIK 8 - FATòM
4 - SOJ D 9 - NATYUSH
5 - NA RYò ESY USH  

sabato, gennaio 13, 2007

Mey Ark Vu - Recensione da Alias

Certo non si può dire che gli emiliani Transgender non abbiano autostima. Civuole un bel coraggio a mettere insieme un disco così. Il nome scelto èassolutamente emblematico, perché la loro musica è un viaggio tra i generi,dal progressive al rock anni Settanta al metal così come l’hanno pensatoprima i Faith No More e poi i System Of a Down fino all’avanguardia punkdegli Zu.
Al tutto aggiungono un tocco di etnofolk “balcanico”, che facapolino qua e là, tra le righe, un po’ di electro e una “citazione”, chissàquanto “involontaria”, dei Sigur Rós. Il cantato poi è una lingua che lorodicono autoinventata, una specie di esperanto europeonordorientale. Mey ArkVu è tutt’altro che un album semplice, forse a tratti un po’ pretenzioso, mapone comunque i Transgender tra le (poche) buone cose nuove del nostropaese.

Roberto Peciola

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mercoledì, dicembre 27, 2006

Mey Ark Vu - Recensione da www.sentireascoltare.com

Il terzo album lungo dei Transgender testimonia un opportuno processo di decantazione. Il suono di Mey Ark Vu è ancora ricco, sfaccettato e bruciante (percussioni febbrili, chitarre sferzanti, organi acidi, theremin, tastiere e tastierine, vibrafono, archi...), ma si presenta decisamente sfrondato, punta con maggiore decisione ad una sintesi vibrante e arcana tra la wave-prog degli Stranglers e l'art-rock esoterico di Mike Patton.

Non rinunciando con ciò alle istintive ramificazioni, siano esse scorribande nella terra degli orchi Black Sabbath (la lugubre e incendiaria Na Ryò Esy Ush), sghembe scelleratezze Devo in salsa klezmer (Actik), allibente kraut-dance (Berlina) oppure valzer impastoiato di sincopi, allucinazioni, tastierina psicotica, pennate hardcore e canto ieratico (la non meno che sbalorditiva Suni). L'effetto complessivo è grottesco, brusco e struggente.A proposito del canto, anche qui occorre registrare un netto salto di qualità: detto che tutti i testi sono vergati nella ormai celebre neo-lingua, va sottolineato il lavoro di contenimento del Fornasari, bravo a limitare i vocalizzi allo strettamente funzionale, anche quando - come nella strutturata Soj D - prende un falsetto mellifluo che sembra gli A-Ha sulla graticola Tool, oppure quando - nella malinconia cameristica pseudo-Sigur Ròs di Kju - ti fa pensare ad un Matt Bellamy dopo nutritivi ascolti Demetrio Stratos.


Nel finale del programma i cinque emiliani scelgono di sedare la tempesta emotiva, prima con i palpiti arabescati di Fatòm e poi - soprattutto - con quella Natyush che imbastisce una concrezione cartilaginosa Gastr Del Sol (il piano seriale, l'organetto, il vibrafonino giocattolo...) mentre la voce dispiega fragile e arrembante trepidazione Tim Buckley. Prova ulteriore che si tratta di una band matura, con idee ambiziose e chiare. Che i confini – l’idea stessa di confini – se li è sbranati da un pezzo.

di Stefano Solventi

Giudizio 7.3/10

fonte: http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Monografie/transgender.htm

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venerdì, dicembre 22, 2006

Canterbury Italia - Recensione www.kronic.it

Trangender. Aldilà dei generi. Sembra essere qui appellativo, filosofia di vita e prassi musicale. Difficile tracciare un solco di genere infatti per delimitare l`approccio stilistico di questo eterogeneo quintetto, attivo dal 1997, prodotto Trovarobato per questo secondo lavoro, dalla lingua misteriosa ed incomprensibile ad orecchie profane.

Citiamo le influenze della band: Tool, Queens Of TheStone Age, Mr. Bungle, dEUS, LCD Soundsystem, Art Bears, Slap Happy, Bill Laswell, Material, Cassiber. Molta Canterbury. Anni settanta all`insegna di un approccio anti commerciale, psichedelico, imponente ed anarchico.

Non è facile rapportasi con "Mey Ark Vu", proprio alla luce di tale complessità compositiva che rende ostico l`ascolto complessivo. Tuttavia raggiungere la vetta di una montagna difficile da scalare non può che essere doppiamente soddisfacente. Arrivare ai picchi di melodico delirio in "Sojd" con i suoi archi ispirati. Arrivare all`acida e geometrica ossessività di Na Ryò Esy Ush con le angosce che le tastiere e le pesanti distorsioni trasmettono passo dopo passo. Arrivare a duettare col piano di "Kju" lontanamente parente dei Muse, se non fosse per quella lingua di violino che dona al tutto un imponente senso di classicità. Arrivare a familiarizzare con una musica "pesante" nel suo essere "piena". E` una piacevole sfida, alla quale non rinunciare.

Giudizio: 3/5

fonte: http://www.kronic.it/artGet.aspx?aID=2&sID=14341

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mercoledì, dicembre 13, 2006

Se il rock lo tagliassero a pezzetti - Recensione di MusicbOOm

Complessi e difficili come un esame di analisi, ci danno un aiuto etichettandosi da soli: Transgender, attraverso i generi. Non fosse che decidono d’esprimersi in un idioma oscuro che pare provenire in parte dallo spazio e in parte dalla Calmucchia, anche se loro sostengono - come Tolkien fece con gli Elfi - d’averla inventata. I paralleli? Troppi: dal prog di Canterbury al crossover compatto ma spigoloso d’inizio millennio di gruppi come i System Of A Down con i loro arabeschi nu metal al seguito, arzigogolii vocali degni d’un Mike Patton che si spengono in sofferti gargarismi islandesi, sketch semi-orchestrali troppo brevi per dare spazio a fughe visionarie, muri sonori che t’ingabbiano in uno scenario di modernità indecifrabile e tristemente felice dove riecheggiano le ossessioni industrial tedesche e l'epica folle di Robert Fripp.Una compattezza frastornante per intensità di stimoli e densità di suono (live - vi assicuro - sono grandiosi), un riassunto dell’epopea rock nei suoi aspetti più radicali, che però sono già tradizione. Mey Ark Vu è allora una sfida, non tanto nel suo volere valicare i generi, ma nel suo essere di non facile accesso: la sua composizione che procedendo per de-costruzione sfiora il virtuosismo compiaciuto, i cambi di ritmo e di genere che ne danno un’immagine schizofrenica, questa lingua inventata che ne fa un concept che lo sia o meno. Una copertina tra Bauhaus e Suprematismo e un libretto che gioca con simboli d’ispirazione mistico-massonica-kosmica completano il quadro.

Mi rimangono un paio di certezze:
1) il disco pesa 150 grammi;
2) se il rock lo tagliassero a pezzetti, i Transgender li raccoglierebbero.

I Transgender sono un buco nero che risucchia tutto ciò che è heavy, una mistica senza visioni, un concetto che s’arrotola in un gomitolo troppo difficile da districare, un tappo messo a forza in una bottiglia aperta da tempo. A voi decidere se l’anima del rock è ancora dentro o era già scappata lasciando solo un’idea.


fonte: http://www.musicboom.it/mostra_recensioni.php?Unico=20061123030500

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martedì, novembre 21, 2006

I Transgender presentano il nuovo cd “Mey Ark Vu” in uno show-case al Magazzeno bis di Bologna - Recensione di www.musicalnews.com

Il 6 novembre 2006 ha riaperto i battenti il Magazzeno bis di Bologna, già noto talk-show-concerto radiofonico quindicinale prodotto negli studi della Trovarobato. L’occasione è stata la presentazione del nuovo cd dei Transgender “Mey Ark Vu”.

Freschi del riconoscimento per “La Ricerca nuove frontiere della Musica” in occasione del ventennale di “Imola Rock”, i Transgender si sono esibiti in uno show-case condotto da Michele della Trovarobato, grande in qualità di presentatore che ha saputo mostrare il gruppo nella sua totalità, musicale e non.Ottimo l’impatto dal vivo del quintetto: Paolo Mongardi impeccabile e mai banale alla batteria e i giri incisivi di Luca Cavina al basso sono il giusto supporto alle sonorità e atmosfere create da Davide Santandrea alle tastiere (e vari effetti) e dalla originalissima chitarra di Alessandro Petrillo (effetti sonori molto ricercati, prodotti da “giocattolini” di ogni tipo).

Il tutto a sostegno di un ottimo Lorenzo Esposito Fornasari: dissonanze orientaleggianti cantate in una lingua nuova, “imparata in quel di Calmucchia” come il frontman ha affermato. Una lingua eterea, misterica. Voce come strumento, in una lingua che si svincola dalla pura significazione del testo: musica patogenica direi, quella musica che viene fuori direttamente dalle emozioni.

I pezzi di “Mey Ark Vu” sono molto variegati e accattivanti, in un genere musicale multiforme e originale, che ricorda a tratti gli Area, i Tool, Mike Patton in qualsivoglia forma e colore, i Radiohead.. Post-rock? Rock alternativo? Progressive? Transgender!Il disco, prodotto dall’unione di forze Trovarobato/Transgender/Enrico Gabrielli, è stato registrato e mixato da Max Trisotto presso lo studio "Magazzeno bis" della Trovarobato e distribuito nei migliori negozi di dischi da Audioglobe.Il gruppo ha salutato i presenti allo show-case con una chicca per l’occasione, un pezzo inedito dal titolo “Kobe Kokey” (penso si scriva così..), dando appuntamento ai prossimi live.

fonte: http://www.musicalnews.com/articolo.php?codice=8867&sz=4\\\\\\\\

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