Mey Ark Vu - Recensione da Alias
Certo non si può dire che gli emiliani Transgender non abbiano autostima. Civuole un bel coraggio a mettere insieme un disco così. Il nome scelto èassolutamente emblematico, perché la loro musica è un viaggio tra i generi,dal progressive al rock anni Settanta al metal così come l’hanno pensatoprima i Faith No More e poi i System Of a Down fino all’avanguardia punkdegli Zu.
Al tutto aggiungono un tocco di etnofolk “balcanico”, che facapolino qua e là, tra le righe, un po’ di electro e una “citazione”, chissàquanto “involontaria”, dei Sigur Rós. Il cantato poi è una lingua che lorodicono autoinventata, una specie di esperanto europeonordorientale. Mey ArkVu è tutt’altro che un album semplice, forse a tratti un po’ pretenzioso, mapone comunque i Transgender tra le (poche) buone cose nuove del nostropaese.
Al tutto aggiungono un tocco di etnofolk “balcanico”, che facapolino qua e là, tra le righe, un po’ di electro e una “citazione”, chissàquanto “involontaria”, dei Sigur Rós. Il cantato poi è una lingua che lorodicono autoinventata, una specie di esperanto europeonordorientale. Mey ArkVu è tutt’altro che un album semplice, forse a tratti un po’ pretenzioso, mapone comunque i Transgender tra le (poche) buone cose nuove del nostropaese.
Roberto Peciola
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