Il terzo album lungo dei Transgender testimonia un opportuno processo di decantazione. Il suono di Mey Ark Vu è ancora ricco, sfaccettato e bruciante (percussioni febbrili, chitarre sferzanti, organi acidi, theremin, tastiere e tastierine, vibrafono, archi...), ma si presenta decisamente sfrondato, punta con maggiore decisione ad una sintesi vibrante e arcana tra la wave-prog degli Stranglers e l'art-rock esoterico di Mike Patton.
Non rinunciando con ciò alle istintive ramificazioni, siano esse scorribande nella terra degli orchi Black Sabbath (la lugubre e incendiaria Na Ryò Esy Ush), sghembe scelleratezze Devo in salsa klezmer (Actik), allibente kraut-dance (Berlina) oppure valzer impastoiato di sincopi, allucinazioni, tastierina psicotica, pennate hardcore e canto ieratico (la non meno che sbalorditiva Suni). L'effetto complessivo è grottesco, brusco e struggente.A proposito del canto, anche qui occorre registrare un netto salto di qualità: detto che tutti i testi sono vergati nella ormai celebre neo-lingua, va sottolineato il lavoro di contenimento del Fornasari, bravo a limitare i vocalizzi allo strettamente funzionale, anche quando - come nella strutturata Soj D - prende un falsetto mellifluo che sembra gli A-Ha sulla graticola Tool, oppure quando - nella malinconia cameristica pseudo-Sigur Ròs di Kju - ti fa pensare ad un Matt Bellamy dopo nutritivi ascolti Demetrio Stratos.
Nel finale del programma i cinque emiliani scelgono di sedare la tempesta emotiva, prima con i palpiti arabescati di Fatòm e poi - soprattutto - con quella Natyush che imbastisce una concrezione cartilaginosa Gastr Del Sol (il piano seriale, l'organetto, il vibrafonino giocattolo...) mentre la voce dispiega fragile e arrembante trepidazione Tim Buckley. Prova ulteriore che si tratta di una band matura, con idee ambiziose e chiare. Che i confini – l’idea stessa di confini – se li è sbranati da un pezzo.
di Stefano Solventi
Giudizio 7.3/10
fonte: http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Monografie/transgender.htm
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